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Il valore della memoria tra I giovani

Quando si è dinanzi ad un pubblico giovane, in un’aula confortevole, e solo il grigiore di una giornata piovosa invernale può suggerire un’atmosfera triste, è difficile spiegare ai giovani il valore della memoria. Una memoria, quella del 27 Gennaio, che è obbligatorio possedere, e lo è forse più per questi ragazzi che per noi adulti, poiché loro, magari tra qualche anno, non avranno più il confronto diretto con i testimoni oculari della Shoah, confronto che gli adulti di oggi hanno avuto, direttamente o indirettamente. Allora ci si arma di grande coraggio e si cerca di “inchiodarli” davanti ad immagini, numeri e date che la storia ci ha consegnato integri. Ma non basta, bisogna arrivare al cuore dei giovani, bisogna farli riflettere su una vicenda che li riguarda da vicino, non ci si deve limitare a suscitare in loro indignazione contro i crimini disumani commessi dal nazismo.

È così che la prof.ssa Monica Lucaroni, accogliendo una sollecitazione della prof.ssa Roberta Ferrara (imparentata per tramite del marito ad una famiglia di Amandola che ha salvato otto Ebrei), ha pensato bene di organizzare la Giornata della Memoria partendo da una spiegazione generale sull’Olocausto, per poi fare un viaggio nella storia della Shoah in Italia, fino ad arrivare nelle Marche, raccontando agli studenti storie di persone comuni che si sono trasformate in eroi, come quella di Giuseppe Brutti e di sua moglie Elvira che, insieme ad altri abitanti di Amandola, hanno rifocillato e nascosto per due mesi una famiglia ebrea, rischiando la fucilazione.

Giuseppe Brutti è il capostazione di Amandola, capolinea della ferrovia Adriatico-Appennina, quando nel Settembre del 1943 vede scendere dal treno una donna anziana con tre figlie, un genero e tre nipoti: erano scappati da Belgrado, in Jugoslavia, nel novembre del 1941. Dopo un lungo e pericoloso viaggio erano stati trasportati in Italia ed internati in un villaggio in provincia di Treviso, dove erano restati fino all’invasione tedesca del Settembre 1943. Il loro viaggio fino ad Amandola era durato parecchi giorni ed avevano cambiato vari mezzi di trasporto; da mesi non mangiavano un piatto caldo. È a questo punto che il signor Brutti, sua moglie, i suoi tre figli e tutti gli abitanti di Amandola iniziano una gara di solidarietà per assicurare a questa famiglia ebrea la sopravvivenza fino alla liberazione della città di Amandola da parte delle Forze armate alleate. Lo fanno con coraggio e per amicizia, altruismo, credo religioso, spirito umanitario.

I ragazzi ascoltano attenti, qualcosa è cambiato nei loro occhi. Era già cambiato qualcosa dopo la lettura e l’analisi della poesia scritta da Primo Levi, estratta dall’omonimo libro del 1947, dal titolo appunto Se questo è un uomo. A colpirli la disumanità del campo di concentramento di Auschwitz, la scarnificazione fisica e morale a cui gli uomini e le donne erano stati ridotti oppure la forza di Primo Levi nell’imporre la necessità della memoria? Forse a colpirli l’insieme di un incontro riuscito, in cui docenti e studenti si sono ritrovati a parlare della bellezza, dell’unicità e della strenua difesa dell’essere umano.